giovedì 20 febbraio 2014

"Pastorali" di John Taggart nella traduzione di Cristina Babino

Dobbiamo a Cristina Babino questa nuova tappa di avvicinamento all'opera del poeta americano John Taggart (Perry - Iowa, 1942). E dopo quanto appreso in questa bella e ricca intervista pubblicata mesi fa su Librobreve, ora possiamo contare sul volume intitolato Pastorali che l'editore marchigiano Vydia mette a disposizione dei lettori italiani (testo inglese a fronte, pp. 250, euro 15; nella stessa collana Dieci bozze di Rachel Blau DuPlessis tradotto da Renata Morresi). Diciamo subito una cosa: è bello, positivo, quando si instaura tra poeta e traduttore un rapporto che va oltre la mera conoscenza ai fini della traduzione. Cristina Babino conosce John Taggart, si sono incontrati, si scrivono per dubbi, per scambiare fotografie. Lei ha bisogno delle fotografie dei ponti coperti che resistono nella zona rurale dove Taggart attualmente vive con la famiglia, Newburg, nella Cumberland Valley (Pennsylvania). Lui manda a lei risposte su carta che passano sopra l'oceano e arrivano ancora intrise dell'odore di pipa. Si sono incontrati, hanno ascoltato assieme musica e lui le ha intimato di alzare il volume durante una canzone di Janis Joplin. Questo e altri aspetti che rinviano all'amicizia, non scontati, ci permettono di rivolgerci con più fiducia al lavoro di cura e traduzione.

Lo stesso Taggart e poi la stessa curatrice mettono in guardia il lettore. Questa è poesia che andrebbe letta ad alta voce. E qui si potrebbe aprire una parentesi sterminata, che parte dalle origini orali della poesia (e pensiamo, in Italia, al lavoro di Ida Travi), passa per le sue derive tipografiche e il colpo di dadi di Mallarmé, si prolunga nella vita silenziosa della poesia del Novecento (Montale, ad esempio, è un poeta che si è letto/consumato quasi esclusivamente in silenzio, nel confronto tra scrittore/pagina/lettore? Ho questo dubbio: come cambia Montale letto ad alta voce?), fino ad arrivare ai tentativi odierni di riportare la poesia all'ascolto, anche nelle occasioni pubbliche, un passaggio importante, attraverso il quale potrebbe esser rivista la marginalità in cui è costretta (si è costretta?) la poesia d'oggi. Taggart è il poeta della fiducia nella parola, nel suo scrigno di suono. Ripetizioni sono all'ordine del giorno, ossessive. Il suo ruscello poetico sgorga dalle parti della poetica oggettivistica teorizzata Louis Zukofsky (nulla di suo tradotto in italiano) e George Oppen (qui trovate ancora Essere in tanti, pubblicato otto anni fa da ETS). Ma Taggart ovviamente non è racchiuso in queste poche disordinate mie note. Nello sviluppo della sua lirica, come ha modo di notare Cristina Babino, ci sono inserti plurimi, dalla passione per il jazz e John Coltrane o Sonny Rollins in particolare, all'eco di compositori come Steve Reich, fino alla pittura di Mark Rothko o a quella di certe solitudini e deserti urbani, lateralmente illuminati à la Caravaggio, di Edward Hopper. E come non capirlo. Aggiungerei - e forse potrebbe essere una interessante strada da seguire - i buoni risultati che potrebbe dare una lettura geopoetica di questa sua opera (e suppongo anche di altre sue opere, ma non ho letto tutto Taggart). Se Gregory Bateson scriveva dell'ecologia della mente, mi pare sia vero che l'opera di Taggart diventi ecologia della lingua inglese da lui adoperata.


Pastorali (Pastorelles, uscito giusto dieci anni fa nel 2004 per Flood Editions con una copertina così lontana da quella italiana) rimanda sin dal titolo ad una dimensione rurale che è quella del fazzoletto da lui abitato in Pennsylvania. Il poeta Robert Creeley (la meritoria Empiria pubblicò a suo tempo Stanze e pure per Mondadori uscì Per amore negli anni Setttanta; ci torneremo su quest'ultimo libro) ha scritto che Taggart è stato un campione dell'accumulo di patterns sonori e di significato complessamente stratificati, che pure usa con un'autorità discreta. Ha scritto inoltre che se la poesia ha un valore persistente è perché riesce ad articolare, come in questo libro, tutto quello di cui una vita arriva a prendersi cura. Cristina Babino ci ricorda inoltre e opportunamente che la  Pennsylvania di Taggart, figlio di pastore metodista, è "terra della cultura Amish (la cui lingua è detta non a caso Pennsylvania Dutch), chiusa nelle sue granitiche consuetudini, nel suo ricercato, intestardito isolamento". A tal proposito, vedete anche uno dei due testi che riporterò per gentile concessione. Pastorali è allora titolo bifronte perché guarda da un lato alla tradizione della poesia e dall'altro alla tradizione della musica che portano questa "etichetta". Le mutazioni di "Arcadia" sono un capitolo tutto da esplorare nella poesia mondiale del Novecento. Solo questa duplice apertura dice della complessità e della sintesi di cui è capace Taggart, sin dalla titolazione dell'opera. 

C'è un aspetto, infine, che mi preme riprendere prima di concludere e di lasciarvi in compagnia di due Pastorali, ovvero l'interdisciplinarietà della scrittura - sarebbe meglio scrivere della vita - di Taggart, un aspetto sottolineato anche dai decenni di lavoro all'interno dell'università americana. Forse "interdisciplinarietà" non è la parola migliore, è troppo accademica infatti. Taggart però è la riprova che gli innesti che provengono da una grande attenzione nei confronti delle altre arti lasciano il segno anche in poesia o, meglio, in ciò che la poesia restituisce della vita. La sua poesia è come una "sciarpa", dalla cui trama entra molto, fiato, aria, luce e sulla quale possiamo far passare persino la nostra voce imbolsita. Le poesie stesse "iniziano come epitaffi e hanno la possibilità di concludersi come vita", ha sostenuto egli stesso durante una recente conferenza.


PASTORELLE 1


Glance to the right all that’s possible
driving south
on 641 what was the old stage coach route
curve on 641 curve and descent
hard on the horses
weight bearing down on them
glance
perhaps all that was ever possible
clearing through the trees at the curve
wide field
brown green brown
where the farmer plowed where the farmer didn’t where he did

glance
and glances
over the years
this is where my ashes are to be scattered
driving south and west.


PASTORALE 1




Guardare sulla destra tutto ciò che è possibile
guidando verso sud
sulla 641 quella che fu la vecchia via delle carovane
curva sulla 641 curva e discesa
dura per i cavalli
carico che pesa su di loro
guardare
forse tutto ciò che fu mai possibile
radura tra gli alberi sulla curva
grande campo
marrone verde marrone
dove il fattore ha arato dove il fattore non ha arato dove ha arato

guardare
e sguardi
attraverso gli anni
qui è dove le mie ceneri verranno sparse
guidando verso sud e ovest.


PASTORELLE 8


Young woman
Amish
green dress black apron translucent white prayer bonnet
strings of her bonnet trailing in the air

rollerskating down the road

by herself alone in the air and light of an ungloomy Sunday afternoon

herself and her skating shadow


the painter said
beauty is what we add to things

and I
chainsawing in the woods above the road
say what could be added
what other than giving this roaring machine a rest.



PASTORALE 8


Giovane donna
Amish
vestito verde grembiule nero translucida cuffia da preghiera bianca
i lacci della cuffia si trascinano nell'aria

pattina lungo la strada

tutta sola nell'aria e nella luce di una chiara domenica pomeriggio

lei e la sua ombra che pattina

il pittore disse
la bellezza è ciò che aggiungiamo alle cose

e io
che taglio legna con la sega elettrica nei boschi sopra la strada
dico ciò che si potrebbe aggiungere
che altro se non spegnere questa macchina rombante.

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